IT: a proposito del film, del romanzo e della miniserie – a cura di Matteo Giordano

Quando Georgie Denbrough allunga la mano verso il tombino per prendere la sua barchetta di carta dalle mani di Pennywise metà delle persone presenti in sala gira la testa per non guardare, mentre l’altra cerca di mettere in guardia il fratellino credulone di Bill che sta per essere messo nel sacco da un clown con i denti a sciabola che gli parla da una fogna.
Questa è senza dubbio la scena più celebre di IT, nel romanzo, nella miniserie del 1990 e anche in questa versione cinematografica, la prima parte di una serie di due film, che ha dalla sua, rispetto alla prima versione per il piccolo schermo, 27 anni in più di evoluzione in effetti speciali (senza contare che oggi gli anni 80 di IT sono materia di nostalgia).

Evitando gli spoiler vi dico solo che nel film questa sequenza va pari pari al romanzo, senza lasciare nulla all’immaginazione. Ahime però, per quando riguarda molti altri aspetti della trama, il film di Andres Muschietti va un po’ per le sue e chi si aspetta una trasposizione fedele delle mille e passa pagine del capolavoro di Stephen King rimarrà deluso.
 

Breve paragrafo for dummies, per tutti quelli che il romanzo non lo hanno mai letto: la storia è incentrata su IT, incarnazione del male che abita nei sotterranei della cittadina americana di Derry e che essenzialmente si sveglia ogni 27 anni per nutrirsi di bambini. Ci vorrebbe un Van Helsing o almeno un Harry Potter con la sua bacchetta magica e la coperta dell’invisibilità per farlo fuori, e invece gli eroi più improbabili che si troveranno a combattere IT sono sette bambini disadattati aka  il Club dei Perdenti, presi in trappola oltre che dal Mostro, anche da quella fase della vita che scatta intorno ai 12 anni.
Il romanzo è un continuo viaggio nel tempo fra gli anni 50 (quando i protagonisti sono bambini) e gli anni 80, quando ormai adulti dovranno vedersela con IT nella battaglia decisiva.
Oltre alla storia, avvincente e a volte un po’ cruda, il romanzo è un grande viaggio epico dentro
l’amicizia, il diventare grandi e il dovere affrontare le proprie paure, soprattutto quelle reali e non solo i mostri dentro i tombini.
 
Del romanzo esiste una prima trasposizione per il piccolo schermo in due puntate prodotta nel 1990 e che ho rivisto da poco in una piovosa sera estiva. Me lo ricordavo abbastanza bene IT Pagliaccio Assassino, che avevo visto per la prima volta in una videocassetta presa a noleggio quando avevo più o meno la stessa età dei bambini protagonisti.
Vista oggi la miniserie fa un po’ di tenerezza, come rivedere le puntate di X Files che ai tempi della prima messa in onda erano considerate un prodotto di culto e all’avanguardia e che oggi sembrano la prima versione dell’Iphone. Effetti speciali ma non specialissimi, look e pettinature imbarazzanti, dialoghi (almeno nel doppiaggio italiano) degni de Gli Occhi del Cuore.
IT Pagliaccio Assassino ha comunque dalla sua una interpretazione magistrale (e terrificante anche quando fa ridere) di Tim Curry nei panni di Pennywise, anche se si adatta solo in parte al palinsesto del romanzo, uniformandosi alla forma con continui flashback e flashforward ma concedendosi  svariate licenze, anche visto che si trattava pur sempre di un prodotto pensato in origine per la TV.
 

Ma torniamo al film: lo dico subito a scanso di equivoci: a me è piaciuto, al di là delle differenze con il romanzo, e sono curioso di vedere come sceneggiatori e regista affronteranno la seconda parte, già in programma di realizzazione.
In questo primo capitolo, la storia è raccontata in maniera lineare ed è incentrata solo su quello che succede ai protagonisti bambini, niente flashback e flashforward dunque, anche se un flashforward molto importante c’è comunque.
La storia è stata infatti spostata in avanti di trent’anni e ciò che era ambientato negli anni 50 nel romanzo, nel film si svolge negli 80; anche se siamo lontani dai riferimenti e dalle atmosfere evocative del decennio presenti ad esempio in Stranger Things, una delle migliori cose viste sullo schermo negli ultimi anni, mi è parsa una scelta azzeccata e al passo con i tempi.
A proposito di Stranger Things, uno dei protagonisti della serie, Finn Wolfhard, nel film interpreta Richie Tozier: all’inizio ero un po’ scettico sulla scelta, perché non ce lo vedevo molto nei panni di Trashmouth, ma dopo poche sequenze ho capito subito che mi sarei dovuto dimenticare in fretta dei personaggi creati da King perché la caratterizzazione degli stessi nel film è scarsa e poco in linea con il romanzo. Questa è decisamente la pecca più grossa, a mio avviso, di tutta l’operazione: l’unica imperdonabile al netto delle licenze poetiche per quanto riguarda la trama.
Il film però recupera molti punti con la colonna sonora, che trovate qui su Spotify
https://open.spotify.com/user/itmovieofficial/playlist/1t3eyykRmKnKUAx5JGbpq9
e che merita di essere salvata fra le vostre playlist preferite. (Vi segnalo la scena sulle note di Bust a Move di Young MC).
 
Insomma, vale la pena di andare al cinema per vedere IT, e vale la pena di (ri)leggere anche il romanzo di Stephen King che, così come gli anni 80, non passa mai di moda.
(E se vi avanza tempo andate a recuperare anche la miniserie).
 
Un’ultima nota per i produttori di Netflix: Una trasposizione cinematografica fedele e completa di IT rimane una missione impossibile, ecco perché forse ci vorrebbe una serie, di quelle belle, con tre o quattro stagioni per coprire tutte le mille e passa pagine del romanzo. Pensateci su…
 
Matteo Giordano è nato in provincia nel 1981. Dopo anni passati a minacciare di farlo, finalmente si trasferisce a Londra in tempo per godersi gli Hipsters, il Royal Wedding, le Olimpiadi e la Brexit. Ama correre, nonostante il parere contrario delle sue ginocchia, e suonare dischi tech house principalmente nel salotto di casa sua.
Nel 2016 ha pubblicato il romanzo “novantaquattro” per la Nativi Digitali Edizioni http://www.natividigitaliedizioni.it/prodotto/novantaquattro-matteo-giordano/
Ha un nuovo romanzo in lavorazione con Le Mezzelane.