Blog Tour – Tema letterario, parliamo di Noir e dell'ispirazione che anima "Le femmine del babbuino"


Cos’è un giallo? Cos’è? Un thriller? Cos’è un noir? Sfumature, questione di sfumature, dice il lettore vorace ma improvvido, al quale basta ricevere una bella dose di adrenalina e cavalcare l’onda delle emozioni, se possibile forti. D’altra parte in Germania i tre generi vanno tutti sotto il nome di Krimi (Kriminalroman), mettendo in evidenza che questo genere letterario ha, sempre, a che fare con la violazione della legge. Il lettore saggio invece sceglie attentamente le sue letture tenendo conto di queste distinzioni, in modo da godere sempre del massimo piacere. E allora, cosa distingue i tre sottogeneri?
Supponiamo che uno scrittore voglia raccontare una storia, quella narrata in Le femmine del babbuino, per esempio. Volendo semplificare molto la trama, e renderla neutra, possiamo dire che un commissario di polizia investiga le circostanze di un delitto, e per fare ciò deve addentrarsi in avvenimenti passati e tenere conto delle circostanze della politica internazionale.
 

Castellani chiamò un paio di volte Bashir, il suo domestico tuttofare - il suo boy, come si diceva nelle colonie -, indispettito dal fatto che se ne stesse a passeggiare davanti alla sua finestra. Non ottenne risposta. La Somalia non si poteva definire propriamente un paese tranquillo, anzi, spesso le controversie tra le tribù di pastori si risolvevano a colpi di fucile. Tuttavia fino ad allora nessuna violenza era stata esercitata contro i bianchi. Conveniva comunque essere prudenti.
Si alzò cercando di non far rumore, prese il fucile, spalancò la porta e si precipitò fuori spianando l'arma. Si ritrovò davanti a un grosso babbuino che stava ispezionando minuziosamente la casa. Restarono qualche secondo a osservarsi, stupiti e incapaci entrambi di una qualsiasi reazione.
Ancora prima che Attilio potesse riaversi dalla sorpresa, l'animale si stava già arrampicando su per il “bur” - la montagna - un enorme sasso di granito caduto per chissà quale imperscrutabile vicenda geologica nel bel mezzo di una sconfinata pianura.
È un maschio, si disse l'uomo.
Sfortunatamente per il babbuino, era un maschio anche Attilio. Un maschio della razza umana che aveva un fucile e una femmina gravida che riposava in casa. Il babbuino, invece, non possedeva armi.
Forse per paura che l'animale tornasse e spaventasse la moglie, forse per dargli una lezione, o forse per risolvere alla maniera umana la sfida lanciata da un altro maschio, quasi senza mirare Attilio sparò un colpo.
Con qualche secondo di ritardo il babbuino si arrestò e si irrigidì, poi il suo corpo senza vita prese a rotolare a grandi balzi dalle pendici della montagna, ogni masso che urtava lo faceva piroettare scompostamente in aria. Un ultimo grande salto, qualche secondo di volo scomposto e il babbuino si schiantò al suolo.
A partire dalla quella sera e per tutte le seguenti, le femmine del babbuino si arrampicarono sul tetto, urlando e battendo sulla lamiera. Volevano indietro ciò che gli era stato sottratto, rivolevano il loro maschio. Per il dottor Castellani, per la moglie e per i quattro militari inglesi che dividevano lo stesso tetto, era un vero tormento. Diverse volte i soldati, esasperati e insonni, avevano provato a mandarle via sparando in aria o spazzolando il tetto con lunghi bastoni, ma non riuscivano a ottenere altro che qualche istante di silenzio. Dopo essersi zittite, le scimmie vedove riprendevano testardamente la loro rabbiosa veglia funebre.
Sembrava che non avrebbero smesso mai più. Attilio, dal canto suo, faceva finta di non sentirle.

 
Se l’autore volesse usare la tecnica giallistica (teniamo presente che di giallo si parla solo in Italia, per via della copertina della prima collana dedicata a questa tipologia di romanzo, che aveva questo colore, nei paesi di lingua anglosassone la denominazione è “poliziesco”), dovrebbe insistere sugli elementi che chiariscono la vicenda criminale, sull’indagine poliziesca, che costituirebbe quindi la spina dorsale della narrazione, lasciando tutti gli altri elementi in secondo piano, fino a scoprire il colpevole e a rivelare le modalità con cui è stato compiuto il delitto.
 

Il cadavere era stato ritrovato verso le sedici e trenta. Più o meno venti minuti dopo qualcuno aveva chiamato in commissariato. Marras, che non riusciva a trovare il commissario, aveva mandato Ametrano in auto a Lacona, a casa del dottor Laitano.
L’agente aveva lasciato un biglietto sulla porta di casa sua verso le diciotto, perché non c’era nessuno.
La vicina di casa del commissario si era accorta che stava succedendo qualcosa di importante e, intorno alle diciotto e dieci, aveva fatto qualche telefonata.
Laitano era arrivato alle diciannove e dieci e la vicina - Virginia Mazzei fu Lupi, di anni settantatré, cugina della suddetta Elide e di questa corrispondente - vistolo rientrare, gli aveva immediatamente telefonato, informandolo, con un pizzico di sarcasmo, che:

  1. a) avevano trovato un cadavere sulla spiaggia delle Ghiaie;

  2. b) un agente era passato da casa sua, e, non trovando né lui né la sua padrona di casa e squisita ospite, signora Ambra Foresi, aveva appiccicato un biglietto alla porta;

  3. c) il maresciallo Fusco dei Carabinieri era già sul posto e quindi lui doveva spicciarsi, se non voleva fare una brutta figura;

  4. d) il cadavere era quello del proprietario della villa che chiamavano la “Nave”, sita in località Poggio, frazione di Marciana.

 
Se invece volesse trarne un thriller, si dovrebbe focalizzare sulla preparazione del delitto, sui suoi elementi oscuri, sulle motivazioni, sulle modalità di realizzazione, ma raccontate in tempo reale, non come ricostruzione poliziesca, tenendo il lettore sul filo del rasoio e fornendogli colpi di scena l’uno dietro l’altro e, anche in questo caso, lasciando molti elementi sullo sfondo.
 

Da Portoferraio a Marciana ci sono più o meno venticinque chilometri, quasi tutti di curve. Prima si sale verso le colline, poi si scende e si costeggia il mare fino a Marciana Marina, infine ci si arrampica di nuovo verso le montagne.
Mare o montagna che fosse lo scirocco non dava tregua. Soffiava lento, costante. Riempiva l’aria di umidità e le narici dell’odore di salmastro.
Di Labio era un abruzzese taciturno.
«Sai dove andare?» gli domandò il commissario.
«La conoscono tutti la villa. La chiamano la “Nave” perché è fatta a forma di barca. Era di un francese finocchio. Credo facesse il sarto.»
Pigiò la frizione, dalla quarta scalò per un istante in folle, accelerata, di nuovo frizione e seconda. L’auto si incollò alla strada e uscì dalla curva in accelerazione.
«Doppietta» disse. «Niente di meglio per queste strade scivolose.»

 
Se invece volesse scrivere un noir… beh, dovrebbe fare esattamente quello che ha fatto Mechi Cena. Dovrebbe cioè mettere in evidenza ciò che negli altri casi è stato lasciato sullo sfondo. La società, la storia, la personalità dei protagonisti, l’ambiente in cui si svolgono gli avvenimenti e in cui si muovono i personaggi.
 

Il commissariato di Portoferraio si trova proprio nel centro del paese vecchio; occupa parte del piano terreno del municipio, un edificio costruito nel cinquecento e chiamato “Biscotteria”, perché lì, all'epoca, si fabbricavano biscotti. Non i biscotti dolci che conosciamo noi, ma una specie di pane secco per marinai e soldati che si conserva a lungo.
Su di un lato dell’edificio c’è un pisciatoio, mentre sull’altro inizia una stradina che porta al “Mulin Rouge”, il night club dove fanno gli spogliarelli.
Pisciatoio e topa. Sempre di uàllera in mano si tratta, era solito commentare Ametrano, detto anche “’o filosofo”.
Davanti invece c’è una piazzetta con una targa intitolata a Pietro Gori, anarchico vissuto tra ottocento e novecento.

 
La storia, in Le femmine del babbuino, è di estrema importanza, perché è dal passato coloniale dell’Italia che hanno origine gli eventi, nella teoria della razza e nello sfruttamento delle risorse dei paesi colonizzati. Questo filo nero, rappresentato nel romanzo da un mercantile sovietico, lega quel passato e il presente della narrazione: l’epoca di Craxi Presidente del Consiglio, l’epoca dell’inizio della cooperazione internazionale, intesa come modo per continuare a spogliare le “colonie” nascondendo però la cosa sotto un altro nome.
 

Allora, le cose stanno in questo modo: a) la lingua di quei manifesti è il somalo, così se ti capita sulle parole crociate, almeno lo sai; b) la madre dà del tu al presidente di quel paese; c) Castellani trafficava in armi e rubava sugli aiuti economici, a vantaggio suo e di qualcun altro. E, più importante di tutto, d), sottolineo d): se ci fanno andare avanti è perché hanno bisogno di qualcuno che se lo prenda nel culo al posto loro.
 
Il primo ufficiale serpente lasciò andare un rantolo-sibilo.
Doveva essere un Sissignore. Saltò fuori invece un «Trasportiamo gas?»
«No, ciabatte usate.»
Appoggiò i pugni chiusi sulla scrivania.
«Se diventano rosse, sono cazzi amari. Vuol dire che c’è una fuga. 1500 mg per metro cubo e si muore dopo un minuto di esposizione. Ma non si muore subito. Quella roba ti brucia tutto quello che c'è da bruciare dentro. Pensate a cosa succederebbe a uno di noi che è pieno di infiammabile vodka.»
«Cos'è?» domandò il turkmeno.
«L'hai fatto il soldato, no? Perciò sai che cos'è. Yprite.»
Guardò le sue casse. Contenevano il suo futuro da ricco uomo libero. Quasi si commosse. Poi alzò il mento, cosciente della solennità del momento vagamente eroico.
«Io direi, perciò, che potete pure andarvene affanculo e non rompermi più il cazzo per almeno due giorni. Sbrighiamoci e non facciamola troppo lunga, è il nostro lavoro dimmerda» concluse Jānis Dāboliņš.
Fuori, la prua della nave iniziava a fendere, senza esserne troppo scossa, le gonfie onde del Mar Baltico.

 
L’indagine, che porta il commissario Laitano su e giù per l’Italia e poi in Somalia,  che lo spinge a combattere con i suoi personali demoni del passato e del presente, è quasi un pretesto per raccontare quindi eventi storici dei quali il lettore non ha piena conoscenza né comprensione, per raccontare un sistema di cui anche noi, a nostra insaputa, abbiamo fatto e facciamo parte.
 

«Ullallà, Messer Laitano, io sono il SISDE» Rossi si mise la mano sul petto, più o meno dove dovrebbe trovarsi il cuore, e inchinò leggermente la testa «e mi occupo di controspionaggio.»

Maria Grazia Beltrami