“Strappi” di Mario Zito: poesia che taglia, resiste, respira

C’è un gesto istintivo e irripetibile che attraversa Strappi, l’ultima raccolta di Mario Zito pubblicata da Carmina – Le Mezzelane: quello dello strappare. Non uno strappo ordinato, chirurgico, ma una lacerazione viscerale, come si fa quando non c’è più tempo per attendere, quando bisogna andare, adesso. Strappare per vedere cosa c’è sotto, cosa rimane, cosa pulsa ancora. È da qui che nasce questa poesia: da una necessità che non è letteraria, ma esistenziale.

Con una scrittura asciutta, fisica e mai edulcorata, Zito compone un atlante emotivo in cui la dimensione personale si intreccia costantemente con quella collettiva. Ogni testo è frammento, battito, visione. Un gesto che rompe il silenzio per restituire senso alle crepe.

La poesia di Strappi si muove tra l’intimità dell’amore e le ferite della società, tra i ricordi incisi sulla pelle e la lotta quotidiana per non affondare nella rassegnazione. Non c’è un io lirico immobile, c’è piuttosto un soggetto che attraversa, che cambia, che si mette a rischio. L’autore ci offre un linguaggio essenziale, dove ogni parola pesa e ogni verso respira, lasciando spazio al lettore per completare il senso.

Tre poesie, tre traiettorie
Tra le pagine si distinguono testi che vibrano di un’energia particolare, per intensità emotiva e forza evocativa.

1. “Il tuo odore sa / di parole nuove…”
Una dichiarazione d’amore sensuale e delicata, dove il corpo dell’altro diventa mondo da esplorare: “di spezie lontane / di abissi marini”. Il verso si fa carezza, e il desiderio si mescola alla quotidianità, in un gesto dolcissimo: “che sorseggio / sul tuo collo / al mio risveglio”. È una poesia che racconta l’intimità vera, non idealizzata, ma piena di vita.

2. “C. dice spesso che un giorno andrà al lavoro…”
Una prosa poetica che scava nell’immaginario di chi sogna la libertà ma non trova il coraggio. E invece, un giorno, la trova davvero. L’uomo che alza gli occhi in metropolitana e vede “già il mare” è il simbolo di una resistenza silenziosa, di un cambiamento possibile. È un atto di ribellione piccolo, ma profondo. Zito lo racconta con sobrietà, senza retorica, lasciando che il lettore ci si specchi dentro.

3. “Vorrei te / ancora un metro…”
Una poesia sull’addio, sulla fine di un amore che ancora respira nei gesti, nei ricordi, nella distanza che separa ma non cancella. L’alternanza di lucidità e struggimento è trattenuta, misurata, mai melodrammatica: “Se scendo farà male / se resto sarà letale”. In questa ambivalenza si gioca il dolore più umano: quello di scegliere quando nessuna scelta è indolore.

Una voce necessaria
Con Strappi, Mario Zito conferma la forza di una poesia che non cerca ornamenti ma verità. Una poesia che sa essere carezza e pugno, che non teme la frattura ma anzi la accoglie, la ascolta, la rende parola. In un tempo dove spesso la poesia si rifugia nell’astrazione o nel compiacimento estetico, Strappi sceglie la carne, la strada, la voce viva.

È un libro che resta, perché non accarezza ma incide. Perché ci ricorda che la poesia, quando è autentica, può ancora strappare via il velo e mostrare ciò che è vero, ciò che resiste, ciò che pulsa.

Nota biografica
Mario Zito è nato a Catania nel 1971. Docente di lettere al liceo da oltre vent’anni, ha sempre vissuto la scrittura come parte integrante della propria identità. Dopo gli esordi in ambito saggistico e narrativo, ha trovato nella poesia la forma più autentica per esprimere il proprio sguardo sul mondo. Tra le sue raccolte precedenti: Pensieri ed aporie (1992), Forzatamente in fuga (1994), Reticenze (2013) e Sottopelle (2023), vincitrice di premi e apprezzamenti critici. Collabora anche con musicisti e cantautori, portando la parola poetica oltre la pagina.