Intervista a Maria Grazia Beltrami, a cura di Rita Angelelli

Maria Grazia Beltrami: chimica per passione, editor per istinto, traduttrice per necessità e scrittrice per puro piacere. Nata a Cremona nel 1960, in un’epoca in cui la TV trasmetteva in bianco e nero e i bambini imparavano a leggere grazie a “Non è mai troppo tardi”, Maria Grazia prende il titolo del programma un po’ troppo alla lettera e a soli tre anni sa già leggere e scrivere. Una bambina prodigio? Forse. O forse solo una che ha deciso di fare le cose a modo suo fin dall’inizio.

Con un’infanzia divisa tra provette e ingranaggi, Maria Grazia sviluppa una passione tanto esplosiva per la chimica e la meccanica da trasformarla in una carriera come progettista di impianti chimici. Ma, come ogni alchimista che si rispetti, non si accontenta di mescolare solo reagenti e formule. Inizia a tradurre testi tecnici dall’inglese e scopre che le parole, proprio come le molecole, possono esplodere, trasformarsi e creare qualcosa di unico.

Nel 2002 trasloca a Udine, dove si dedica all’ambiente lavorando presso il Comune di Gorizia. Ma la burocrazia non placa la sua sete di storie, e così continua a scrivere racconti e a editare testi tradotti dal tedesco, giusto per non lasciare mai la penna ferma.

Il 2007 è l’anno della svolta creativa: frequenta un corso di scrittura tenuto dalla poetessa Marina Giovannelli e sforna il racconto di fantascienza “Tomorrow or now?”, che finisce dritto dritto in un’antologia. Da lì in poi, decide di prendere la scrittura sul serio (senza perdere l’ironia) e diventa editor a tempo pieno.

Nel 2013 si trasferisce a Berlino, città che sembra fatta su misura per le menti brillanti e un po’ eccentriche. Qui continua a lavorare come editor, traduttrice e scout letteraria, mettendo il suo occhio clinico e il suo spirito giocoso al servizio di chiunque osi sfidare la pagina bianca.

Ma il vero colpo di scena arriva con il manuale di scrittura creativa scritto a quattro mani con Rita Angelelli: “Goffaggini erotiche e involuzioni prosaiche – Elementi di stile per novelli scrittori di letteratura erotica”. Un titolo che promette scintille e mantiene ogni parola. Perché, diciamocelo, scrivere scene hot senza scivolare in comicità involontaria o catastrofi grammaticali richiede più abilità di quante se ne immaginino… anche nel campo della meccanica.

Non paga di tutto questo, Maria Grazia ha curato tre antologie di fantascienza, tradotto dodici libri e persino pubblicato un libro di cucina per Le Mezzelane Casa Editrice. Perché, in fondo, che si tratti di piatti succulenti o trame piccanti, l’importante è lasciare il lettore con l’acquolina in bocca.

Oggi ci racconta il suo viaggio tra parole e passioni, tra errori stilistici e picchi di creatività, pronta a svelarci i segreti per scrivere scene d’amore senza inciampare in metafore imbarazzanti o finali troppo approssimativi. Allacciate le cinture (e magari anche il grembiule), l’intervista sta per iniziare!

1) C’è stato un libro o un autore che ha influenzato particolarmente il tuo lavoro?
C’è un libro dello scrittore francese Raymond Queneau che si intitola “Esercizi di stile”. Si tratta di una semplice storia, narrata 99 volte in 99 modi diversi: cambi di punti di vista, di stile, di linguaggio, usando tutti i tipi di metafora possibili e immaginabili, e persino l’enigmistica. Già così è materia esplosiva, soprattutto per una che a sei anni si divertiva col Piccolo chimico. Il fatto, però, è che io non so il francese, quindi l’ho letto in traduzione. Traduzione fatta nientepopodimeno che da Umberto Eco. E lì l’esplosione è diventata fungo atomico. Perché quella di Eco non è una traduzione – e d’altra parte non poteva esserlo – ma una reinvenzione. Se uno cerca le 99 storie di Quineau parola per parola, non le troverà in Eco, ma ci troverà l’essenza e lo scopo. Insomma, gli “Esercizi di stile” di Quineau/Eco sono stati la chiave per capire come davvero funziona il lavoro di traduttore – che non è un semplice traspositore di parole – e mi ha detto molto sul lavoro di editor. E se a qualcuno si accende una lampadina riguardo al titolo di un certo manualetto… ebbene sì, è una citazione.

2) Qual è stata la sfida editoriale più grande che hai affrontato?
Premetto: io sono un chimico, è così che penso a me stessa da quando sono molto piccola. E, come si dice in inglese, la mania del controllo “comes with the job”. Nel mio lavoro controllo qualsiasi cosa, soprattutto quello che sono convinta di sapere, su qualsiasi genere lavori. Da questo segue che le più grandi sfide editoriali per me sono i libri di saggistica. L’ultimo in ordine di tempo, forse quello più interessante e complesso, è “Inventario letterario del mondo di David Bowie”, di Alessio Barettini: 480 pagine per due anni di lavoro. Tutte le traduzioni dei testi di Bowie sono originali, tutte le citazioni sono state verificate e ne sono state riportate le fonti. Sono stati tradotti per la prima volta brani di libri amati da Bowie che non sono mai usciti in italiano, e via così. Come ha detto l’autore stesso, sono stata pignola fino alla noia, ma anche Bowie era pignolo, basta leggere i testi della sue canzoni per capirlo.

3) Hai mai avuto difficoltà nel tradurre giochi di parole, dialetti o riferimenti culturali? Come li hai risolti?
Il gioco di parole più difficile in assoluto, in realtà una filastrocca, l’ho incontrato in un libro per bambini che ho tradotto qualche anno fa e che non è più in commercio. Mi ci sono approcciata in questo modo: innanzi tutto l’ho tradotto “normalmente” in modo da cercare di capire se ci fossero parole chiave da mantenere in italiano. Poi l’ho recitato più volte ad alta voce in inglese per assimilarne il ritmo, poi su quel ritmo e usando le parole chiave, ho costruito la versione italiana. Sembra una cosa semplice e tranquilla, no? Ecco, provate a immaginare una pazza che marcia avanti e indietro per casa recitando ad alta voce, partendo dall’inglese per arrivare all’italiano con tutte le combinazioni nel mezzo, sul ritmo… della versione di Mickey Mouse song come la si sente alla fine di Full Metal Jacket.

4) Come pensi che le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, stiano influenzando il tuo lavoro?
Sento parlare delle nuove tecnologie come se fossero il babau, ma io sono un chimico semplice e ho iniziato a lavorare coi computer nel 1983 (in più, vivo con un DevOps). Come sono finita lavorare con un computer nel 1983? Semplice, non so tenere una matita in mano, non so fare una riga dritta nemmeno con la riga, ma un progettista di impianti chimici almeno il disegno tecnico dovrebbe padroneggiarlo. Insomma, nell’azienda in cui lavoravo c’era qualche raro computer su cui era stata installata una versione primordiale di CAD e così una progettista con due mani sinistre ha potuto fare i suoi bravi disegnetti. Questo per dire che le nuove tecnologie sono strumenti, come lo erano i telai a vapore al tempo della rivoluzione industriale. Danno? Tolgono? Danno a chi le sfrutta e tolgono a chi ne ha timore. Dal CAD sono passata al CAT, e spesso quando faccio ricerche chiedo all’IA, ma sempre avendo presente il GIGO. Ok, per i non inziati: CAD: Computer Aided Design; CAT: Computer Aided Translation; GIGO: Garbage in, Garbage out (merda entra, merda esce: un principio da tenere presente nell’uso dei computer come nella vita).

5) C’è un progetto editoriale o una traduzione di cui sei particolarmente orgogliosa?
Dopo aver tradotto diverse antologie di fantascienza curate da altri, all’inizio del 2024 ho dato inizio a un progetto interamente curato da me. “L’amore è più forte del tempo” è un’antologia di fantascienza di cui vado particolarmente orgogliosa, perché ne ho scelto il tema e ho contattato uno per uno gli autori, dei quali solo due sono italiani. Le quattordici storie sono tutte originali e, amore di mamma, davvero bellissime. L’antologia è uscita nella versione italiana con la mia traduzione, e anche in inglese, quindi con i racconti in lingua originale. Non riesco a descrivere il piacere che mi ha dato questo lavoro, basti dire che ho già una certa voglia di iniziarne un altro.

6) Qual è la parola che ti ha fatto sudare di più mentre cercavi di tradurla?
Se devo essere sincera, le difficoltà vengono dalla confusione linguistica che ho in testa. Mi spiego: sono italiana, l’italiano è la mia lingua madre e quella in cui lavoro, ma parlo inglese da quando ero alle elementari e il 70% dei libri che leggo per piacere è in inglese; in più, vivo in Germania da moltissimi anni, nella vita di tutti i giorni parlo tedesco e il 25% dei libri che leggo per piacere è in tedesco. Quindi cosa succede? Sto editando e l’autore ha dimenticato di controllare il significato di una parola perché il dizionario gli serviva per tenere su il tavolo. Io so qual è la parola giusta, solo che non mi viene assolutamente in italiano. Mi viene in inglese, o in tedesco. Vado dal DevOps e gli chiedo se lui si ricorda come si dice in italiano, ma, ahimè, è messo praticamente come me, quindi non mi resta che mettere la coda tra le gambe e aprire il vocabolario di inglese o tedesco e tradurre… nella mia lingua madre.

7) Qual è stato il complimento più bizzarro che hai ricevuto per il tuo lavoro?
C’è un “complimento” che mi perseguita da quando progettavo impianti chimici e mi rifiutavo di venire a compromessi riguardo a cose di cui avevo l’assoluta certezza fossero sbagliate: “che brutto carattere che ha, signora”. Ecco, in varie declinazioni continuano a farmelo, perché quando si tratta di tenere dritto il timone posso essere un po’ dura (leggi: stronza). Me lo lascio dire volentieri, perché so che gli autori che si lasciano guidare in mezzo alla tempesta poi sono felici del risultato.

8) Se il personaggio di un libro che hai tradotto diventasse improvvisamente reale, quale inviteresti a cena e perché?
Beh, non ho dubbi: inviterei a cena Run Ono-Marks, il protagonista di “Da soli non si cambia il mondo” di Nate Ragolia. Si tratta di un personaggio che mi piace moltissimo, che la pensa come me su moltissime cose, e che agisce in determinate situazioni come agirei io. Un cuore tenero in una corazza di titanio, che fa di tutto per nascondere la cosa. Unico problema, essendo quasi interamente cibernetico, il povero Run non potrebbe godere appieno della mia cucina, ma qualcosa di buono lo troverei anche per lui.

9) Quale libro consiglieresti a qualcuno che dice di non leggere mai?
Ecco, approfittiamone per sfatare un mito: non si consigliano libri a uno che non legge. Come dice un proverbio, a lavar la testa all’asino si perde tempo e si infastidisce la bestia. Piuttosto, cercherei di capire le ragioni di questo scarso amore per la lettura, studierei quali sono i suoi interessi, vorrei capire che lavoro fa – se l’ha scelto o gli è capitato: insomma, farei di tutto per stimolarlo a prendere, finalmente, in mano un libro, fosse anche il libretto di istruzioni del microonde.

10) Hai mai pensato di scrivere un libro tuo invece di vivere nell’ombra di chi li scrive davvero?
Oh, un sacco di volte, ma sono da una parte troppo pigra, da un’altra troppo critica. E poi ho sempre un nuovo libro da leggere, senza contare che mi interessano troppo le storie degli altri per passare del tempo sulle mie.

11) Devi essere un po’ maniaco del controllo per fare questo lavoro, vero?
Credo di aver risposto più volte a questa domanda nel corso dell’intervista. Comunque sì, ribadisco, sono maniaca del controllo. A mia discolpa, posso dire che esercito prima di tutto su me stessa. La chiarezza e l’esattezza sono troppo importanti per lasciarsi andare alla sciatteria. D’altra parte, ho sempre ben presenti le parole della mia insegnante di lettere delle superiori quando trovava strafalcioni nei temi: “State studiando per diventare chimici: nel vostro lavoro la precisione è essenziale, e la precisione parte dalla parola scritta”.

12) Se odi un libro, riesci comunque a editarlo senza maltrattarlo?
Quando lavoro su un libro, parole come amore e odio non fanno parte del mio dizionario. Posso lasciarmi andare ad autentico turpiloquio prima, dopo e nei momenti di pausa, a insulti epocali nei confronti dell’autore e di tutta la sua ascendenza e discendenza; posso sputare veleno sul libro, ma “durante” il libro merita il massimo rispetto e io faccio tutto il possibile perché al momento della pubblicazione splenda al meglio.

13) Hai mai cercato sinonimi solo per evitare di usare sempre la stessa parola e fingere varietà?
Ci sono schiere di maestre delle elementari e professoresse delle medie che passerei al tritacarne per come hanno trasmesso ai loro alunni il concetto di ripetizione. Lo ripeto fino alla nausea: la ripetizione non è sempre e solo usare la stessa parola, e usare i sinonimi per evitare le ripetizioni è un’arte fine come il pizzo al tombolo. Perché i sinonimi non hanno sempre esattamente lo stesso significato, o lo stesso peso; non sempre si possono collocare indifferentemente all’interno della frase, e così via. La precisione del linguaggio è molto più importante di una ripetizione evitata, quindi, paradossalmente, mi è capitato di aggiungere ripetizioni per togliere di mezzo sinonimi fumosi o che rendevano ridicola la frase.

14) Hai mai pensato di mollare tutto e andare a vendere gelati? Sarebbe meno stressante, no?
Ho avuto una gelateria. La parte divertente era creare i nuovi gusti di gelato (sempre per via che sono un chimico), ma venderli? Provate ad accontentare tutte le richieste di un bambino quando la mamma gli ha detto che gli compra una sola pallina…

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